L'amore: mutevole nella percezione, intatto nella sostanza...
Viaggio filosofico nel sentimento meno originale e più pervasivo dell’universo, frutto senza innovazione degli stessi meravigliosi errori
Tra cose apparentemente immutabili e altre, evidentemente soggette a cambiamenti e innovazioni, ve ne sono alcune che appaiono mutevoli nella percezione, ma che, di fatto, restano intatte nella loro sostanza.
Per dire meglio, certi fenomeni subiscono innovazioni epistemologiche, mantenendo la loro essenza, l’Eidon platonico.
Così, in questa rubrica che si dedica, in un certo senso, alla filosofia dell’innovazione e su questa rivista telematica, che dell’innovazione ha fatto il suo stigma, mi piacerebbe parlarvi dell’amore: la cosa meno originale e più pervasiva dell’universo.
E, per cominciare, bisogna fare una subita distinzione fra le tre manifestazioni fenomeniche dell’amore: l’amore vissuto, l’amore raccontato e l’amore osservato.
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L’amore raccontato fra autobiografismo ed invenzione
Cominciamo dall’amore raccontato, perché è quello più soggetto ad innovazioni e, quindi, più, diciamo così, affine alla nostra linea editoriale.
L’amore raccontato, machiavellicamente, si può dividere, a sua volta, in autobiografismo ed invenzione.
Il primo, sovente, ha carattere di sfogo o di rimpianto: più raramente, di vendetta o di ringraziamento.
La narrazione autobiografica dell’amore, sia per interposto personaggio che direttamente ispirata alle proprie vicende, indica, quasi sempre, un discorso interrotto a mezzo: un amore non appagato appieno.
In sostanza, il più delle volte, non si racconta un amore, quanto, piuttosto, il suo fallimento, cercandone le ragioni, le colpe oppure le fatalità.
Insomma, “…cantando, il duol si disacerba”.
Più raramente, la narrativa si dedica ad amori riusciti: diventa celebrazione e monumentalizzazione della persona amata.
Nell’invenzione, invece, trovano spazio soprattutto le aspirazioni amorose: si tende frequentemente a raccontare un amore come dovrebbe o non dovrebbe essere, piuttosto che com’è e come non è.
Si tratta in definitiva, di una specie di grande sogno, in cui, una volta tanto, le cose vanno come decide la divinità onnisciente, ossia lo scrittore, e non secondo le circonvolute eventualità del fato.
Il romanzo o il racconto d’amore, dunque, rappresentano un poderoso atto creativo: un tentativo, perlomeno nell’arte, di impedire alle cose di andare per il verso sbagliato.
E proprio qui, in questo campo così vasto e complesso, l’innovazione l’ha fatta da padrona: la gelosia di Medea e quella di Otello, la bellezza di Elena e quella di Clorinda, hanno segnato le epoche, i costumi, le pettinature, i delitti, attraverso i secoli.
Certo, oggi influiscono maggiormente sul sentimento comune le mise televisive o le foto su Instagram: il ragionamento, tuttavia, non cambia.
L’amore si rinnova e innova nei suoi aspetti formali, mantenendosi fedele a se stesso in quelli sostanziali: è conservatore nell’anima, ma si veste all’ultima moda.
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Lo “amour” osservato nel solco della felicità altrui
Veniamo dunque all’amore osservato: all’amore degli altri, che, solitamente, può suscitare ammirazione e invidia, curiosità ed emulazione.
L’amore osservato è, paradossalmente, più completo di quello vissuto in prima persona: l’osservatore esterno, purché sagace ed esperto delle cose del mondo, legge tra le righe ciò che l’innamorato non può o non vuole vedere.
Riconosce i sintomi del tradimento o dello scadimento: legge per primo, nel semplice balenare di uno sguardo, l’evolversi degli eventi.
E, se ha conosciuto esperienze consimili, immagina, consiglia, prevede.
L’osservatore, che sia o meno neutrale, ha una percezione dell’amore, nel suo svolgersi, più oggettiva: guarda quasi con compassione la felicità altrui, ben sapendo quanto sia caduca e fragile questa condizione.
Insomma, l’amore osservato è alonato di scetticismo, di una realistica tendenza al pessimismo, tanto quanto l’amore vissuto campa di meravigliose illusioni e di feroci delusioni.
Un osservatore non può essere deluso, perché è colui che non s’illude, fin dall’inizio: “Oida!”, sembra dire, “Io so!”.
Certo, egli appare più solidamente impostato, rispetto al povero innamorato, in balia dei propri accecanti sentimenti: ma vive di meno.
La paga in termini di intensità: l’amore osservato profuma di rimpianto per una vita mai avuta o perduta, in cui la sola difesa è la solitudine.
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È sempre l’amore vissuto il solo in carne e ossa
E veniamo, infine, all’amore vissuto: l’amore, per così dire, in carne ed ossa.
Come nasca e come muoia è impossibile dire: è una somma, di desideri e di speranze, di chimere e di attese, che ci fa decidere di mettere la nostra esistenza nelle mani di un’altra persona.
A volte, esplode come la primavera quando arriva: è un getto poderoso di gemme, un inno alla vita.
Altre volte, cresce lentamente, dapprima simulando altre forme, fino a rivelarsi.
In ogni caso, l’amore vissuto è sempre quello: cambiano enormemente i contesti, ma l’amore rimane tale e quale.
È un sentimento catastematico.
Come si diceva, è, al contempo sempre nuovo e sempre uguale.
Ciò che va detto, forse, a titolo di chiosa, è che l’amore si nutre di equivoci: verrebbe da dire che è esso stesso un enorme, meraviglioso, equivoco.
Per scoppiare e prosperare, necessita di un formidabile atto di volontà tra due persone che stabiliscano la propria reciproca affinità: che, quasi sempre, non è.
Quasi sempre, si dà volto ai propri desideri e quel volto, come in una ricerca somatica poliziesca, corrisponde al volto amato secondo percentuali.
Non si ha mai la certezza del successo: anzi, verrebbe da dire che è vero l’esatto contrario.
Pure ci si prova, perché la solitudine è una brutta bestia: perché, in fondo, siamo stati fatti per amare.
E ripetiamo, dall’alba dei tempi, col mutare delle epoche e della storia, sempre gli stessi meravigliosi errori: senza la minima innovazione, stavolta.
Magari ci fosse…
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