Il dramma della pedopornografia ai tempi dello sharenting
Che fine fanno le foto dei tuoi figli pubblicate sui social media? Il problema della tragica confluenza tra pedofilia e pornografia spiegato a tutti
Pedopornografia e sharenting: le minacce del Web per i minori
Qualche dato alla mano
In questo articolo parleremo del problema della pedopornografia nell’era digitale e dei social media, ma prima di tutto questo è necessario fare qualche doverosa premessa.
I social media fanno parte della quotidianità e in qualche modo la hanno inevitabilmente rivoluzionata. Adattarsi al cambiamento non significa solo padroneggiare gli strumenti dal punto di vista tecnico, ma anche da quello sociale. Dalla condivisione di contenuti derivano nuovi rischi e conseguenze che inevitabilmente vanno a toccare i diritti umani, specie di chi non può difendersi. Vuoi perché non hanno le conoscenze per farlo, o perché sono troppo piccoli.
Tutte le volte che un genitore sceglie consapevolmente di pubblicare una foto di suo figlio, o sua figlia, sta lasciando un’impronta digitale di una terza persona – per quanto consanguinea. Una persona che un giorno crescerà, e sarà abbastanza adulta da vedere quei contenuti pubblicati prima che potesse dare il suo consenso.
Non si tratta solo di un problema di privacy, ma anche di un potenziale rischio più profondo e spaventoso. Qualcosa a cui forse ingenuamente non pensiamo mai, ma che va tenuto in considerazione per il bene di tutta la famiglia.
Quanto è opportuno esporre i nostri bambini sui social network?
Una ricerca australiana
Se ritieni che il parental control e il monitoraggio delle cronologie sia sufficiente, ti sbagli.Una ricerca condotta dalla “Children’s eSafety Commission” del Governo australiano stima che la più della metà delle foto presenti sui siti dedicati alla pedofilia siano state raggranellate dai profili social degli stessi genitori, o addirittura dai blog di parenting.
Perché una foto finisca su uno di questi siti non c’è per forza bisogno che il bambino stia facendo il bagnetto in abito adamitico, oppure gli si stia cambiando il pannolino.
È sufficiente che una foto stuzzichi la fantasia di qualche persona affetta da questo problema gravissimo, e venga ricondivisa da altri come loro. Insomma, una prospettiva abbastanza spaventosa e da far rabbrividire.
La legge prevede che la pubblicazione di foto di minori di 18 anni sia legittima:
- Se c’è il consenso dei genitori, entrambi
- Se sono “decorose”, ovvero rispettano la reputazione e l’immagine del bambino.
I minori sopra i 14 anni devono esprimere il loro consenso alla pubblicazione di una foto sul profilo dei genitori. Lo sapevi? I tuoi figli lo sanno? E i tuoi parenti?
Il videoallarme di un adolescente contro l’abuso di Internet
Pedopornografia e sharenting
La domanda è una e una solamente: dobbiamo o non dobbiamo pubblicare le foto dei nostri figli sui social? Alcune persone ritengono che l’astenersi dal pubblicare le foto dei bambini sia un sacrificio troppo grande per una creatura di cui sono così orgogliosi. Come sempre, la giusta misura sta nell’equilibrio.
Pubblicare fotografie dei propri bambini, o video, è accettabile, a patto che questa attività:
- Non sia ossessiva e continuativa;
- Il profilo del genitore sia configurato per rispettare determinati criteri di privacy;
- Si sia al corrente dei rischi che si corrono quando si opera la scelta di condividere una foto del genere.
I dati personali dei bambini dovrebbero sempre rimanere tutelati e dovrebbe sempre essere garantito il diritto alla cancellazione di tutte le informazioni che li riguardano. In Europa il GDPR ha sancito alcune regole in materia.
Nella fattispecie, è stabilito che “il consenso dei bambini deve essere rispettato in base allo sviluppo e all’evoluzione delle loro capacità”. Non una definizione chiarissima, ma un importante wake-up call per tutti i genitori che, nell’eccesso di orgoglio, rischiano di compromettere la sicurezza dei figli.
Lo sharenting è quel fenomeno continuo e reiterato per cui i genitori, ma anche i nonni (ancora meno informati sulle dinamiche della privacy digitale) pubblicano foto, video e informazioni sui loro figli. Naturalmente questa esposizione online avviene senza il consenso del minore, il quale è troppo piccolo per capirne le implicazioni.
Quella strana percezione del digitale in assenza di know-how
La tutela dei teenager
Una volta che le persone acquisiscono consapevolezza in materia dei rischi, di solito, arriva quel momento in cui è necessario trasmettere il proprio sapere ai figli. Ragazzi che, è vero, di solito sono ben più scafati di noi nell’affrontare le insidie del web, ma che talvolta peccano di innocenza e non di ignoranza.
L’istruzione alla tecnologia nasce in famiglia e dovrebbe crescere a scuola.
È il primo passo verso un uso più consapevole e meno morboso dei media, ma anche la prima forma di tutela dei più giovani nei confronti di un mondo digitale che, svoltando l’angolo, può diventare ostile tanto quanto quello reale. Se non peggio.
Il controllo maniacale o l’inserimento di sistemi di parenting control, spesso facilmente arginabili da un nativo digitale, non sono la soluzione definitiva e anzi. Il perpetrare di un controllo ossessivo della cronologia dei figli non porta a nulla di buono e compromette la fiducia che dovrebbe esistere tra genitore e figlio.
L’istruzione alla tecnologia è direttamene correlata al riconoscimento e alla gestione delle emozioni e, citando “Save the Children”, allo sviluppo di “autonomia, responsabilità e senso etico”.
Il ragazzo dev’essere cresciuto per poter esercitare il suo pensiero critico non solo nel mondo reale, ma anche online, dove spesso il distacco prende il sopravvento.
“Save The Children” ha messo a disposizione la piattaforma STOP-IT, un servizio di hotline che fa parte del Safer Internet Centre dove gli utenti possono segnalare, in via anonima, la presenza di materiale pedopornografico online. Tutte le modalità di utilizzo di questo servizio fanno parte del toolkit base di ogni utente responsabile dell’Internet.
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