L'inversa proporzione fra difficoltà degli studi e gioia per il risultato
Celebrazioni sempre più sguaiate accompagnano in pubblico diplomi di laurea e di scuola superiore copia sbiadita dei titoli di un tempo
L’altro giorno mi stavo gustando una bella tisana allo zenzero e limone, seduto a un tavolino del mio solito bar, nella meravigliosa piazza vecchia, a Bergamo: sembravo uscito da una pagina di Wodehouse, con in più il sole e un cielo azzurrissimo, che nello Shropshire se lo sognano.
Ad un tratto, questa atmosfera elisia è stata interrotta dallo scoppio di mortaretti, da schiamazzi belluini e cori da stadio.
Basterebbe molto meno a scatenare il demone che sonnecchia in me: così mi sono alzato per vedere a che cosa si dovesse questo carnevale fuori tempo massimo, pronto a dar battaglia, se necessario, con i casinisti di turno.
Ho visto un gruppo male assortito di giovanoidi con, al centro, una fanciulletta, vestita come la Madonna pellegrina e con in capo una specie di corona d’alloro, leggermente sovradimensionata.
A mo’ di scettro, impugnava una bottiglia di spumante da quattro soldi, con cui, tra una sorsata e l’altra, aspergeva i sodali.
Ho compreso, solo allora, che si trattava di una festa di laurea o, meglio, di un prologo pubblico alla festa vera e propria, che, immagino, si sarebbe tenuta la sera, in qualche luogo acconcio.
Ne traggo lo spunto, per un commento dei miei, vagamente aciduli, sulla differenza fra innovazione e decadenza in certi costumi, diciamo così, accademici.
L’innovazione di una scuola senza… esame, ma con più maturità
È di tragica e grande attualità il discrimine fra un’evoluzione e un’involuzione
Questo, giacché il tema del discrimine fra un’evoluzione e un’involuzione, dati i tempi, è di grande attualità.
E qui di involuzione mi pare si debba parlare: involuzione a due facce, per di più.
La prima faccia è quella della serietà di certi titoli di studio: mi pare significativo che, ad una decadenza sensibile del livello di preparazione dei neolaureati e della difficoltà del percorso di laurea, corrisponda un’enfatizzazione del successo del tutto sproporzionata e decisamente poco sobria.
Insomma, una volta, la laurea era una cosa serissima e, spesso, davvero selettiva: oggi si laureano, pardon, cani e porci, a colpi di crediti e di parcellizzazione degli esami, di rating e di facilismo.
E, quando si raggiungeva l’ambito traguardo, lo si faceva con gioia, ma anche con compostezza: al massimo, alla cerimonia assistevano i genitori o la fidanzata, con foto di rito.
Quando mi sono laureato io, peraltro, né gli uni né l’altra si sono fatti vedere: erano tempi così.
Insomma “mons peperit murem” verrebbe da dire: tanto rumore per nulla.
A Bologna a scuola e al lavoro si va ancora in Ducati e Lamborghini
L’irresistibile smania di apparire, di condividere, di volgarizzare qualunque cosa
La seconda faccia riguarda questa smania di apparire, di condividere, di volgarizzare qualunque cosa: un tempo, si laureavano i poeti, come Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto, Tasso. Mica Bonvesin de la Riva o Leonardo Giustinian.
Invece, questi ragazzotti, che scrivono “d’altraparte” (all’Università di Bergamo), si incoronano da sé: si autocelebrano, dopo ottanta paginette di tesi sui più peregrini e risibili argomenti, credendosi i padroni del mondo e dello scibile.
Generazione di disagiati, pieni di complessi, ma che si credono altrettanti geni perché un’università alla canna del gas li ha felicitati del più mencio dei riconoscimenti.
E stappano prosecco e cantano i loro cori balenghi, mentre l’orchestrina del Titanic suona una polka e il colosso affonda di prua.
E questa sarebbe l’evoluzione? Questa l’innovazione? Ma nemmeno per sogno: l’evoluzione, l’innovazione, nascono dalla serietà e dell’impegno, che, passo dopo passo, cambiano il mondo.
Questa è semplicemente barbarie: ignorare i rudimenti della civiltà non è essere liberi, ma essere dei trogloditi.
Come imparare a nuotare nell’agitato mare delle nuove tecnologie
Una classe docente imbarazzante e famiglie autoreferenziali ed iperprotettive
Non è tutta colpa loro, intendiamoci: una bella mano a questi strepitanti studentelli di terza categoria la danno una classe docente imbarazzante e famiglie autoreferenziali ed iperprotettive.
Genitori che pensano di aver messo al mondo un Leonardo da Vinci, se il pargolo non rimedia solenni bocciature e se la cava, a spintoni, fino al vagheggiato trionfo finale.
E la cosa, figlia delle pretese di gloria di famigliuzze mediocri, si sta trasferendo perfino alle superiori: l’esito favorevole degli esami di maturità, ovvero della più ridicola e banale delle prove, in cui, per farsi bocciare, bisogna veramente mettercisi d’impegno, viene celebrato con rituali assai simili a quelli universitari, abluzione enologica compresa.
Così, sprofondiamo nel nulla: innalziamo al cielo la mera apparenza e perdiamo di vista i valori sostanziali.
E questa è decadenza: è assoluta devoluzione.
Senza contare che mi hanno mandato di traverso un’ottima tisana, questi beduini!
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