Nei segreti dello Zwischgold, il... nanomateriale del Medioevo
Dagli studiosi dell’Istituto Paul Scherrer prime visioni 3D delle sottili lamine bifacciali d'oro e d'argento di antiche icone sacre svizzere
Per dorare le sculture nel tardo Medioevo gli artisti applicavano spesso una sottilissima lamina d’oro, “supportata” da uno strato d’argento a mo’ di base.
Per la prima volta, gli scienziati dell’Istituto Paul Scherrer in Svizzera sono riusciti a produrre immagini 3D in nanoscala di questo materiale, noto come Zwischgold.
Le immagini mostrano che si trattava di una tecnica di produzione medievale molto sofisticata e dimostrano perché il restauro di manufatti dorati così preziosi sia tremendamente difficile.
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Campioni da una piega della veste della Vergine in un altare del 1420
I campioni esaminati alla “Swiss Light Source “(SLS), con uno dei metodi di microscopia più avanzati al mondo, erano insoliti anche per l’equipe del PSI, notoriamente molto esperta: minuscoli campioni di materiale prelevati da un altare e da statue di legno risalenti al XV secolo.
Si pensa che l’altare in questione sia stato realizzato intorno al 1420 nella Germania meridionale e che sia rimasto a lungo in una cappella di montagna sull’Alp Leiggern, nel Cantone elvetico del Vallese.
Oggi è esposto al Museo Nazionale Svizzero, presso la sede del Landesmuseum Zürich. Al centro si vede Maria che culla Gesù Bambino.
Il campione di materiale è stato prelevato da una piega della veste della Vergine. I piccoli elementi delle altre due strutture medievali sono stati invece forniti dal Museo di Storia di Basilea.
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Benjamin Watts: “Finora si sapeva molto poco di questo elemento…”
Il materiale veniva utilizzato per dorare le figure sacre. Non si tratta di una vera e propria foglia d’oro, ma di una speciale lamina bifacciale aurea e argentea in cui l’oro può essere sottilissimo perché sostenuto dalla base d’argento.
Questo materiale, noto come Zwischgold (“oro parziale”), era naturalmente molto più economico rispetto all’uso della foglia d’oro pura.
“Sebbene ‘l’oro di Zwisch’ sia stato usato spesso nel Medioevo, soprattutto in area germanica, finora si sapeva ben poco di questo materiale”, spiega Benjamin Watts, un fisico in servizio al PSI a Villigen nel Canton Argovia.
“Abbiamo quindi voluto studiare i campioni utilizzando una tecnologia 3D in grado di visualizzare dettagli estremamente fini”.
Anche se altre tecniche di microscopia erano state utilizzate in precedenza per esaminare lo Zwischgold, esse fornivano soltanto una sezione trasversale 2D del materiale.
In altre parole, era possibile visualizzare soltanto la superficie del segmento tagliato, anziché guardare all’interno del materiale.
Gli scienziati temevano, inoltre, che l’operazione di taglio potesse aver modificato la struttura del campione.
L’avanzato metodo di imaging al microscopio utilizzato oggi, la tomografia Ptychographic, fornisce per la prima volta un’immagine 3D dell’esatta composizione dello Zwischgold.
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I raggi X generano un modello di diffrazione di milionesimi di millimetro
Gli scienziati dell’Istituto Paul Scherrer hanno condotto la loro ricerca utilizzando i raggi X prodotti dalla strumentazione della “Swiss Light Source” (SLS).
Questi producono tomografie che visualizzano dettagli in scala nanometrica: milionesimi di millimetro, in altre parole.
“La pittografia è un metodo piuttosto sofisticato, poiché non c’è la lente di un obiettivo che genera un’immagine direttamente sul rivelatore”, spiega Watts.
La pittografia produce in realtà uno schema di diffrazione dell’area illuminata: in altre parole, si tratta di un’immagine con punti di diversa intensità.
Manipolando il campione in modo preciso, è possibile generare centinaia di modelli di diffrazione sovrapposti.
“Possiamo quindi combinare questi schemi di diffrazione come una sorta di gigantesco puzzle Sudoku e capire come appariva l’immagine originale”, spiega il fisico.
Una serie di immagini pittografiche prese da direzioni diverse può essere combinata per creare un tomogramma 3D.
Il vantaggio di questo metodo è l’altissima risoluzione.
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“Sapevamo che lo spessore del campione di Zwischgold prelevato dalla veste dipinta della Vergine Maria era dell’ordine delle centinaia di nanometri”, aggiunge Watts.
“Quindi dovevamo essere in grado di rivelare dettagli ancora più piccoli”.
Gli scienziati svizzeri hanno ottenuto questo risultato utilizzando la tomografia ptychographic, come riportato nell’ultimo articolo pubblicato sulla rivista “Nanoscale”.
“Le immagini 3D mostrano chiaramente quanto sia sottile e uniforme lo strato d’oro sopra lo strato di base d’argento”, afferma Qing Wu, autore principale della pubblicazione.
La storica dell’arte e scienziata della conservazione ha completato il proprio dottorato di ricerca presso l’Università di Zurigo, in collaborazione con il PSI e il Museo Nazionale Svizzero.
“Molti pensavano che la tecnologia nel Medioevo non fosse particolarmente avanzata”, commenta Wu.
“Al contrario: non si trattava dell’età di mezzo in senso stretto, ma di un periodo in cui la metallurgia e le tecniche di doratura erano incredibilmente sviluppate”.
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L’oro e l’argento venivano martellati separatamente, poi lavorati insieme
Purtroppo non esistono documenti che descrivono come venisse prodotto all’epoca lo Zwischgold. “Pensiamo che gli artigiani custodissero segretamente la loro tecnica…”, dice Wu.
Sulla base di immagini in nanoscala e di documenti di epoche successive, tuttavia, la storica dell’arte è in grado ora di conoscere il metodo utilizzato nel XV secolo.
Prima l’oro e l’argento venivano martellati separatamente per produrre lamine sottili, per cui la pellicola d’oro doveva essere molto più sottile di quella d’argento. Poi, le due lamine metalliche venivano lavorate insieme.
Wu descrive il processo: “Questo richiedeva strumenti di battitura speciali e buste con vari inserti di materiali diversi in cui venivano inserite le lamine”, argomenta Wu.
Si trattava di una procedura piuttosto complicata, che richiedeva specialisti altamente qualificati.
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30 nanometri per “l’oro di Zwisch” contro i ben 140 di una lamina pura
“Le nostre indagini sui campioni di Zwischgold hanno dimostrato che lo spessore medio dello strato d’oro era di circa 30 nanometri, mentre le lamine d’oro prodotte nello stesso periodo e nella stessa regione avevano uno spessore di circa 140 nanometri”, spiega Wu.
“Questo metodo permetteva di risparmiare sull’oro, che era molto più costoso”.
Allo stesso tempo, c’era anche una gerarchia molto rigida dei materiali: la foglia d’oro veniva usata per realizzare l’aureola di una figura, ad esempio, mentre “l’oro di Zwisch” veniva usato per la veste.
Poiché questo materiale ha una minore lucentezza, gli artisti lo usavano spesso per colorare i capelli o le barbe delle loro statue.
“È incredibile come qualcuno, dotato di soli strumenti manuali, sia stato in grado di creare un materiale di dimensioni nanometriche”, afferma Watts.
Una proprietà unica dei cristalli d’oro e d’argento, quando vengono pressati insieme, ha agevolato il lavoro degli artigiani medievali: la morfologia dei due elementi nobili si conserva sull’intera pellicola metallica.
“Una fortunata coincidenza della natura che garantisce il funzionamento di questa tecnica”, aggiunge lo scienziato.
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La superficie è nera: l’argento si corrode a contatto con l’acqua e lo zolfo
Le immagini 3D mettono però in luce un inconveniente dell’uso dello “oro di Zwisch”: l’argento può attraversare lo strato d’oro e coprirlo. Quest’ultimo si muove in modo sorprendentemente rapido, anche a temperatura ambiente.
In pochi giorni, un sottile rivestimento d’argento copre completamente l’oro. In superficie l’argento entra in contatto con l’acqua e lo zolfo dell’aria e si corrode.
“Questo fa sì che la superficie d’oro dello Zwischgold diventi nera con il tempo”, spiega Watts.
“L’unica cosa che si può fare è sigillare la superficie con una vernice, in maniera che lo zolfo non attacchi l’argento formando solfuro d’argento”.
Gli artigiani che utilizzavano lo Zwischgold erano consapevoli di questo problema fin dall’inizio. Come vernice utilizzavano resina, colla o altre sostanze organiche.
“Ma nel corso di centinaia di anni questo strato protettivo si è decomposto, permettendo alla corrosione di continuare”, spiega Wu.
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Dalla corrosione attraverso i secoli la formazione di pericolosissimi vuoti
La corrosione favorisce inoltre la migrazione di una quantità sempre maggiore di argento verso la superficie, creando un vuoto sotto “l’oro di Zwisch”.
“Siamo rimasti sorpresi di quanto sia chiaramente visibile questa lacuna sotto lo strato metallico”, spiega Watts.
Soprattutto nel campione prelevato dalla veste di Maria, lo Zwischgold si era chiaramente staccato dallo strato di base.
“Questa lacuna può causare instabilità meccanica e ci aspettiamo che in alcuni casi sia soltanto il rivestimento protettivo sopra ‘l’oro di Zwisch’ a tenere in posizione la lamina metallica”, avverte Wu.
Questo è un problema enorme per il restauro di manufatti storici, poiché il solfuro d’argento si è incastrato nello strato di vernice o addirittura a un livello inferiore.
“Se rimuoviamo gli antiestetici prodotti della corrosione, anche lo strato di vernice cadrà e perderemo tutto”, afferma Wu.
L’autrice spera che in futuro sia possibile sviluppare un materiale speciale che possa essere utilizzato per riempire lo spazio e mantenere Zwischgold attaccato all’opera d’arte.
“Utilizzando la tomografia pittografica, potremmo verificare la capacità di questo materiale di consolidamento di svolgere il proprio compito”, spiega la storica dell’arte.
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